Una forma di violenza silenziosa, che calpesta i diritti di bambine e giovani donne mettendo a rischio la loro salute fisica e psicologica. È la pratica delle mutilazioni genitali femminili, che ancora oggi lascia ferite profonde nel corpo e nella mente di almeno 200 milioni di ragazze e donne in 30 Paesi, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa).
Per mutilazione genitale femminile si intende una qualunque lesione agli organi genitali femminili per ragioni non terapeutiche, eseguita soprattutto su bambine e adolescenti, principalmente in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia come Eritrea, Guinea, Egitto, Mali, India e Pakistan. Alcune mutilazioni o esiti delle stesse, possono essere molto invalidanti per le donne, tanto da non consentire una normale vita riproduttiva; esistono mutilazioni di tipo escissorio che consistono nel taglio o rimozione di parti dell’apparato genitale, come il clitoride, altre fanno riferimento a una vera e propria infibulazione, caratterizzata dal restringimento dell’orifizio vaginale tramite ‘cuciture’, che a loro volta possono essere associate a un’escissione. Sono numerose le complicazioni, a breve e lungo termine, sulla salute di coloro che sono soggette a questa usanza. Tra le peggiori, vi è la morte.
Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.
Un fenomeno che colpisce anche bambine e giovani donne migranti che vivono nel nostro territorio, spesso a rischio di esservi sottoposte quando tornano nel loro paese di origine per visitare i parenti. Sarebbero tra 61.000 e 80.000 infatti, secondo uno studio dell’Università degli Studi Milano – Bicocca, le donne presenti in Italia sottoposte durante l’infanzia alla mutilazione dei genitali.
Le MGF rappresentano la manifestazione di una profonda e radicata disuguaglianza di genere, che domina le società in cui sono praticate. Nei Paesi dove vengono praticate, infatti, le mutilazioni genitali femminili sono viste come rito di passaggio che permette di entrare a far parte della comunità, e le famiglie che decidono di astenersi sono emarginate. In alcune società è un prerequisito per il matrimonio o è attribuita a credenze religiose. Ci sono, inoltre, false credenze: si pensa che il clitoride possa crescere a dismisura rendendo la donna incline al tradimento, o che gli organi genitali ‘aperti’ siano sinonimo di sporcizia, mentre quelli cuciti sono visti come puliti e attraenti.
Le mutilazioni genitali femminili sono ritenute, a livello internazionale, una violazione dei diritti umani delle ragazze e delle donne. In Italia sono vietate da una legge specifica, la 7/2006 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile” oltre che dall’art 583 bis del codice penale.
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